19690214 - 14 febbraio

Discorso Divino di Bhagavân Shrî Sathya Sai Baba

Mahashivaratri, la grande notte di Shiva

[1] Nelle Scritture sono narrate numerose storie per illustrare l’origine ed il significato della festività di Mahāshivarātrī. Bhārat, l’antico nome di questo Paese, significa la terra di coloro che hanno rati (amore, attaccamento) per Bha (Bhagavān, il Signore). Pertanto, per la gente di questo Paese tutti i giorni sono sacri, tutti i momenti sono preziosi. Il Gange è sacro dalla sorgente fino al mare, tuttavia alcuni luoghi sulle sue rive che sono associati a qualche saggio, ad un tempio, a qualche episodio storico, oppure alla confluenza di un affluente, come Hardwar, Vārānasi, Prayāg, Rishikesh, sono più venerati di altri da molte generazioni. Analogamente, tra i giorni dell’anno, ce ne sono alcuni considerati più sacri, nei quali gli aspiranti compiono sforzi particolari per entrare in contatto con la Sorgente, con la Realtà che sta dietro a quest’apparenza transitoria. Certi momenti, come quelli in cui il Lingam emerge dalla bocca dell’Avatār, si ritiene siano di speciale valore per chi vi assiste e per il mondo, che viene così benedetto.

[2] Qualcuno attribuisce la sacralità di questo giorno al fatto che sia l’anniversario della nascita di Shiva, come se Shiva avesse nascita e morte come qualsiasi mortale. La storia che rievoca la liberazione ottenuta da un cacciatore che stava seduto su un albero di bilva in attesa di prede e che, inavvertitamente, fece cadere alcune di queste foglie su di un Lingam che si trovava lì sotto, senza alcuna intenzione di praticare un atto di culto, non spiega perché questo giorno sia particolarmente sacro. Un’altra storia afferma che è il giorno in cui Shiva, nell’estasi intrinseca alla Sua natura, eseguì la danza cosmica Tāndava alla presenza di tutti gli Dei e dei Saggi, che poterono così assistere a quello straordinario evento cosmico. Per salvare l’universo dalla distruzione, Shiva bevve il veleno mortale Hālāhala emerso dall’Oceano di latte che gli Dei ed i demoni avevano frullato nell’intento di ricavarne il nettare dell’immortalità. Il calore dei vapori venefici era insopportabile perfino per Lui. Per rinfrescarlo, il Gange prese a scorrere incessantemente sui Suoi capelli intrecciati ma gli diede solo un parziale sollievo; poi la fresca Luna gli fu posta sul capo, ed Egli ne trasse grande sollievo. Quindi Shiva eseguì la danza Tāndava con tutti gli Dei ed i Saggi. Si dice che tutto ciò fosse accaduto nello stesso giorno, così fu celebrata la festività di Shivarātrī per commemorarlo.

[3] Non abbiamo solo Mahāshivarātrī una volta l’anno, ma uno Shivarātrī dedicato all’adorazione di Shiva ogni mese. Perché la notte (rātrī) è così importante? La notte è dominata dalla Luna; delle sedici frazioni della Luna, ogni notte della fase calante se ne riduce una finché la Luna si annulla nella notte di Luna Nuova. Da quel momento, ogni notte la Luna aumenta di una frazione fino alla notte di Luna Piena. Chandra, la Luna, è la deità che presiede alla mente, la quale come la Luna cresce e cala, cioè subisce alti e bassi. «Dalla mente dello Spirito Supremo nacque la Luna» Va ricordato che l’obiettivo principale di tutte le pratiche spirituali è l’eliminazione della mente, cioè raggiungere lo stato di assenza di percezioni esterne in cui tutto il creato si dissolve, perché solo in tal modo l’illusione di Māyā può essere infranta e la Realtà rivelata. Durante la quindicina scura del mese (in fase di Luna calante), bisogna compiere le pratiche spirituali per eliminare ogni giorno una frazione della mente, poiché ogni notte una frazione della Luna scompare alla percezione. Nella notte del quattordicesimo giorno dalla Luna piena, la notte di Shiva, solo l’ultima frazione rimane; se in quella notte si compie uno sforzo particolare attraverso la pratica più intensa e vigile di un rito, della recitazione dei Nomi divini o della meditazione, il successo è assicurato. Quella notte bisogna meditare solo su Shiva senza permettere alla mente di rivolgere pensieri al cibo o al sonno. Questo va fatto ogni mese; poi, una volta l’anno, si raccomanda un impegno più intenso nell’attività spirituale in modo che quello che è shavam (cadavere) possa diventare Shivam (Dio), grazie alla consapevolezza costante del suo Residente Divino.

[4] Questo giorno è dedicato allo Shiva che è in ognuno di voi. Dalle catene dell’Himālaya a Capo Kanyākumarī, tutto il Paese risuona oggi del mantra «Shivoham Io sono Shiva» e della sacra formula di adorazione «Om Namashivāya M’inchino a Shiva». Poiché qui sono raccolte migliaia di persone in preghiera e altre decine di migliaia e milioni pregano in altri luoghi, il Lingam emerge da Me così che, attraverso il Lingodbhāva, possiate cogliere la beatitudine che pervade il mondo. La manifestazione del Lingam fa parte della Mia natura. Questi esperti delle sacre Scritture la descrivono come rievocazione di un leggendario evento del remoto passato, quando Shiva sfidò Brahmā e Vishnu a misurare l’altezza e la profondità del Lingam di cui Egli aveva assunto la forma; entrambi non ne furono capaci [a causa dell’immensità del Lingam] e dovettero ammettere la sconfitta. In realtà, il Lingam emerge come risultato delle preghiere e della grazia: in tale evento dovete vedere un barlume di Divinità ed un segno d’infinita grazia. Come l’OM è il suono simbolo di Dio, così il Lingam è la forma simbolo di Dio, ovvero il simbolo visibile, il più rappresentativo, il più semplice ed il meno gravato di attributi. Lingam significa ‘ciò in cui questo jagat (mondo transitorio e mutevole) raggiunge laya, la dissoluzione.’ Alla fine tutte le forme si fondono nel ‘Senza Forma.’ Shiva è il Principio della distruzione di tutti i nomi e di tutte le forme, di tutte le entità e di tutti gli individui; pertanto il Lingam è il più semplice simbolo di manifestazione e di fusione [o dissoluzione, ovvero riassorbimento della manifestazione].

[5] Tutte le forme del Divino concepite dalle Scritture hanno un significato profondo. Shiva non cavalca quell’animale che nel linguaggio umano è chiamato ‘toro’; questo è solo il simbolo della stabilità garantita dalle quattro gambe di Satya, Dharma, Shānti e Prema, i Valori Umani di Verità, Rettitudine, Pace ed Amore. Shiva è descritto con tre occhi che vedono il passato, il presente ed il futuro. La pelle di elefante di cui si ricopre simboleggia i tratti primitivi animali che la Sua grazia distrugge; infatti li fa a pezzi, li scuoia e li rende completamente inefficaci. Le Sue quattro facce rappresentano l’equanimità, il terrore, la grazia e l’energia elevante. Nell’adorare il Lingam in questo giorno del Lingodbhāva, dovete contemplare questi aspetti di Shiva che il Lingam rappresenta.

[6] Non dovreste trascorrere solo questa notte nel pensiero di Shiva; la vita intera va vissuta alla costante presenza del Signore. L’impegno è la cosa più importante. L’inevitabile epilogo per tuttii mortali è lo stesso: anche chi nega Dio camminerà lungo la strada del pellegrinaggio sciogliendo il proprio cuore in lacrime di commozione. Se fate il minimo sforzo per procedere sul sentiero della liberazione, il Signore vi aiuterà cento volte di più; questa è la speranza che Mahāshivarātrī vi vuole trasmettere. L’uomo si chiama così perché è capace di meditare interiormente sul significato di ciò che ascolta, ma voi non avete ancora superato lo stadio dell’ascolto. Tutta la gioia cui agognate è in voi, ma soffrite come chi abbia grandi ricchezze in un forziere e non sappia dove sia la chiave. Ascoltate attentamente le istruzioni, approfonditele nel silenzio della meditazione, mettete in pratica quanto vi sia diventato chiaro, ed allora troverete la chiave per aprire lo scrigno ed essere ricchi di gioia. Voi avete abbandonato anche quel poco di pratica spirituale che Shivarātrī richiede. Ai vecchi tempi, in questo giorno la gente non metteva neppure una goccia d’acqua sulla lingua, ma quel rigore oggi non c’è più. Era costume stare svegli tutta la notte senza cedere minimamente al sonno, ripetendo ininterrottamente Om Namashivāya; oggi nessuno pronuncia il nome di Shiva, ma chi nega Dio nega sé stesso e la propria gloria.

[7] Tutti hanno amore dentro di sé, in una forma o in un’altra, per qualcuno, per il proprio lavoro o per un obiettivo. Quell’amore è Dio, una scintilla del Dio che in loro risiede. Tutti hanno la beatitudine, per quanto limitata e temporanea, e quella è un’altra scintilla del Divino; hanno pace interiore, distacco, discriminazione, compassione e spirito di servizio. Queste virtù sono il Divino che si riflette nello specchio della mente. In occasione di questo santo Shivarātrī alla presenza di Shiva Sai, decidetevi a vedere Shiva come il potere interiore di tutti. Anche ora, ad ogni respiro voi dichiarate ‘So ham’ ovvero ‘Io sono Lui’, non solo voi, ma ogni essere che respiri, che viva, ogni cosa che esista. È un fatto che avete ignorato per tanto tempo, ma da questo momento credeteci! Se osservate il vostro respiro e meditate su tale verità straordinaria, Lui ed Io (Sah ed Aham) gradualmente si avvicineranno finché il senso di separazione svanirà, ed il Soham si trasformerà nell’OM, il Pranava, il Suono primevo, la formula primordiale per identificare Dio. Quell’OM è la Realtà che regge quest’apparente realtà relativa.

Mahashivaratri, 14.02.1969