19690512 - 12 maggio

Discorso Divino di Bhagavân Shrî Sathya Sai Baba

Culto e cultura

[1] Satya e Dharma, Verità e Rettitudine, sono i due principi cardine del Sanātana Dharma, sono gli obiettivi di tutte le fedi, l’insegnamento dei santi, la base dei conseguimenti dei saggi, la corrente sotterranea comune a tutte le Scritture; Verità e Rettitudine scaturiscono dalla natura essenziale del Sé ed è la lezione insegnata nella Gītā, che è l’essenza delle Upanishad, del Vedānta. Nel giorno in cui celebrate l’anniversario dell’inaugurazione dell’Istituto Dharmakshetra, è necessario che ve lo ricordiate. Il Vedānta dichiara: “Tutto questo [Universo] è pervaso da Dio”; come può allora un uomo odiare o ingannare un altro uomo? Le regole, le discipline stabilite da tutte le religioni hanno come obiettivo di applicare nella vita quotidiana questa grande Verità: l’immanenza di Dio. Verità e Rettitudine sono i due occhi di tutte le religioni che hanno origine dall’antico Sanātana Dharma, e cioè il Buddismo, il Cristianesimo e l’Islam. Verità e Rettitudine sono ulteriormente elaborate ed illustrate nelle epiche e nei Purāna dell’India. Rāma andò in esilio nella foresta e subì grandi sofferenze pur di attenersi alla Verità. I Pāndava accettarono di essere esiliati dalla loro capitale e senza battere ciglio sopportarono insulti atroci purché la causa della Verità prevalesse. Harishchandra toccò il fondo del dolore e dell’umiliazione, ma mai si allontanò dalla Verità. Nel corso dei millenni, questi sono gli esempi presentati agli uomini ed alle donne di questa terra mediante canti, commedie, sculture, dipinti, poesia e filosofia. Essi sono fari che guidano le popolazioni di tutti i Paesi verso un destino più elevato, più nobile e benefico. Oggi invece i figli di Bhārat sono affascinati dai successi miseramente eccitanti ottenuti dagli scienziati occidentali, come i viaggi spaziali o i voli lunari.

[2] Considerate i cinque fratelli Pāndava immortalati da Vyāsa nel Mahābhārata. Il maggiore è Dharmarāja, nato dal Dharma; il secondo è Bhīma, dalla poderosa mazza, e il terzo è Arjuna, il più abile arciere dell’epoca; tuttavia sia Bhīma sia Arjuna obbedivano sempre al minimo cenno di Dharmarāja, poiché la forza deve sempre inchinarsi davanti alla giustizia. Volendo trasferire la storia ai nostri tempi, vediamo che l’America è Arjuna, la Russia è Bhīma, e che entrambe dovrebbero inchinarsi a Bhārat, cioè a Dharmarāja, che sostiene la causa della giustizia in contrapposizione alla potenza militare, economica, ecc. L’India deve guidare il mondo sulla via della rettitudine, ma la grande tragedia è che invece sta perdendo la sua fede nel Dharma e vagabonda nelle chiassose e malfamate strade del potere!

[3] Il Mahābhārata insegna anche altre storie. Prendiamo in esame gli avversari di Dharmarāja, Arjuna e Bhīma. Lo zio, che capeggia i cugini e la loro banda malvagia contro i Pāndava, è il re cieco Dhritarāshtra a cui manca la ‘visione’, quella ‘visione’ che solo la rettitudine può conferire. Egli era cieco, cioè non riconosceva l’incompetenza dell’uomo e l’onnipotenza di Dio. I Pāndava invece compensarono la propria inferiorità militare con la fede nell’onnipotenza di Dio, riconoscendo la loro incapacità. Fu così che Dio stesso li guidò sul campo di battaglia e conquistò per loro la vittoria! L’azione illuminata da Jñāna porta al successo. Solo Jñāna, ovvero la scoperta che Dio è tutto, può conquistare la Sua grazia. La modestia, il tenersi in disparte è la prima regola della disciplina e può salvare l’uomo dalla schiavitù. Dhritarāshtra era cieco perché, come il suo stesso nome afferma, si attaccava a tutte le cose che non erano ‘Lui’, il vero Sé che passa dalla nascita alla morte ed ancora rinasce per poi morire, rimanendo però completamente distaccato e indenne. Qualsiasi cosa che non sia ‘voi’ è un oggetto, è solo bagaglio per il viaggio: meno bagaglio, più confortevole è il viaggio!

[4] Dharmakshetra e Kurukshetra non vanno intesi come località vicino a Delhi o Hastināpura, indicate su una mappa. Neppure i Pāndava ed i Kaurava vanno visti semplicemente come due famiglie reali che appaiono nella narrazione. Il corpo umano è detto kshetra o campo, quindi Dharmakshetra è in ognuno di voi. Quando il padrone del corpo elimina tutti i desideri, le passioni, gli impulsi e le tendenze, allora il corpo diventa un Dharma-kshetra! Un bambino ha nel cuore solo Dharmakshetra perché non ha sviluppato desideri sensoriali; accetta qualsiasi cosa sia offerta ed il suo ego non si è ancora ramificato nel mondo oggettivo della molteplicità. Ma in seguito, quando rami e foglie crescono, il Dharmakshetra prende la forma di Kurukshetra, ovvero il campo di battaglia in cui la mente lotta tra speranza e disperazione e si trova obbligata a consumare i diversi frutti, dolci ed amari, delle azioni passate. L’Ātma è descritto come il bagliore di un fulmine, splendente come milioni di soli. Anche la parola Gītā significa ‘lampo’, perciò quella folgore è il Krishna dentro di noi, è la Gītā in noi, è l’Ātma che ci consiglia e ci educa: il Dio interiore.

[5] L’Istituto Dharmakshetra sta diventando un centro internazionale per aspiranti spirituali e ricercatori che intendano apprendere l’antico stile di vita. In India non mancano i templi e le istituzioni che asseriscano di guidare i pellegrini verso Dio. In una biblioteca si raduneranno solo persone interessate ai libri, la mensa è frequentata solo da chi vuole consumare un pasto, all’ospedale vanno solo gli ammalati, ma nel tempio di Dio oggi non troviamo né i devoti né Dio! Quella è la sola casa in cui il legittimo proprietario sia assente! I templi erano i centri per la diffusione dell’antica cultura indiana ma, con l’affermarsi dell’attrazione per la cultura occidentale, essi sono stati abbandonati e lasciati alla rovina del tempo. Ogni cosa viene giudicata con occhio americano, orecchie americane provvedono ad udire per noi ed il cuore americano sente, teme, immagina e modella le nostre reazioni a cose e fatti. Certamente è utile imparare dagli altri, ma non dovete gettar via la cultura che per lunghe ere è stata coltivata in questo Paese a vostro vantaggio, alimentata dall’amore dei vostri antenati. Come può la cultura dell’America o di qualsiasi altro Paese essere idonea agli indiani? Qui sono le 7.30 di sera; se telefonate al vostro amico negli Stati Uniti e gli dite: “Sto andando al cinema,” egli risponderà: “Anche qui sono le 7.30 e sto facendo colazione.” Quando qui è mattina, là è sera; se qui è il tramonto, laggiù il sole sorge. Tempo, clima, vegetazione, temperamento, ideali, sfumature del linguaggio, tradizioni popolari: tutto assume dei colori strani in un Paese con una storia diversa. Pertanto, l’imitazione indiscriminata farà perdere quella pace che segue l’appagamento. Per gli indiani il miglior modo di ottenere la pace è di seguire le tradizioni di questo Paese tracciate dopo secoli di osservazioni, esperienze, tentativi ed errori.

[6] La cultura di Bhārat ha messo in luce i sistemi più validi con cui impiegare soldi ed energie per servire le persone in difficoltà, i malati, gli affamati, gli analfabeti e i senzatetto. Essa condanna invece che soldi ed energie siano spesi per fare dello sfoggio, per ri valsa e competizione o per ottenere successi materiali. Le risorse economiche vanno trattate come fossero date in ‘affidamento’ ed utilizzate per promuovere la fraternità tra gli uomini e la paternità di Dio. Questa cultura stabilisce anche che non si deve fare nulla per insidiare la fede che uno ripone in Dio o in sé stesso. La fede è una piantina tenera che richiede tutte le attenzioni possibili. Io desidero che non critichiate le altre religioni. Sviluppate sentimenti fraterni per tutti. Dio è Uno: non ci sono tanti Dei, uno per ogni comunità! L’Amore è uno: trascende le caste, le razze e le fedi, se è autentico. La Verità è una, non ce ne possono essere due: il due può essere solo uno, ripetuto due volte. La meta è una, perché tutte le strade devono condurre all’unico Dio. Allora perché mai dovrebbero sorgere litigi e scontri circa l’Eterno Assoluto? L’Istituto ‘Dharmakshetra’ ha un grande ruolo da svolgere. Si trova a Bombay che è lo stomaco dell’India, mentre l’Himālaya è la testa e Kanyākumarī i piedi. Se lo stomaco non funziona, tutto il corpo ne soffre le conseguenze. Mantenete quindi forte ed efficiente il Dharmakshetra, non lasciate che degeneri in un Kurukshetra, non permettete a fazioni e contrasti di sollevare la testa. Fate in modo che qui i nobili ideali del Dharma siano incoraggiati e rispettati; questo è il vero servizio che mi aspetto da voi ed attraverso di voi. Se questo sarà fatto, il nostro Paese godrà di pace e sicurezza.

Bombay, Dharmakshetra, 12.05.1969