19690729 - 29 luglio mattino

Discorso Divino di Bhagavân Shrî Sathya Sai Baba

La voce dell’oceano

[1] Il ricercatore deve essere molto attento al proprio punto di vista, alle cose che cerca di raffigurarsi ed a quelle su cui desidera posare gli occhi, poiché è proprio la visione che determina gli attaccamenti, la sofferenza, le passioni, eccetera. Voi siete gli esseri più nobili finora creati, quindi dovete sviluppare una visione che non contempli l’inferiorità o la superiorità, ma veda tutto soffuso di Divinità, senza alcuna differenza o diversità. Shankara proclamava: “Rendi la tua visione colma di saggezza; allora tutto ciò che è visto apparirà nella sua luce reale, ossia come Brahman.” Una simile visione è definita divina, sovrannaturale, fausta, al di là di ogni percezione sensoriale. Ogni corpo che vedete davanti a voi è uno specchio nel quale, se solo apriste gli occhi, potreste vedere l’immagine di Dio. Il Dio in voi è anche in tutti. Non immaginate che gli altri siano distinti; essi sono solo voi stessi, come in molti specchi. Il mondo è pieno di vostri parenti e amici, tutti sono scintille della medesima fiamma. La Gītā proclama: “Il pandit vede il Brahman nello studioso, nel saggio, nel venerabile e in colui che venera, nella mucca, nell’elefante, nel cane e in chi mangia carne di cane.” Simili pandit sono molto rari sulla faccia della terra; gli uomini pretendono di essere ‘pandit’ in base all’erudizione di cui fanno sfoggio, non in base alla visione che hanno conseguito. Alcuni pandit spiegano nei seguenti termini i versi della Gītā nei quali si dichiara che Dio s’incarna quando il Dharma è in declino: “Nel Krita yuga (l’era dell’oro) il Dharma si reggeva su quattro gambe; nel Tretā yuga (età dell’argento) si reggeva solo su tre gambe; nel Dvāpara yuga (età del bronzo) era precariamente retto da due gambe e nell’attuale Kali yuga (era del ferro) il Dharma ha ormai una sola gamba che lo sostiene!” Negli stessi termini asseriscono anche che Dio s’incarnò come Rāma nel Tretā yuga e come Krishna nel Dvāpara yuga con il fine chiaramente espresso di ripristinare il Dharma! Secondo loro, quando Krishna s’incarnò il Dharma aveva due gambe e quando terminò la Sua carriera umana, il Dharma aveva ormai perso un’altra gamba e sopravviveva agonizzante reggendosi su una sola! Come si può credere a simili assurdità? Le Incarnazioni di Dio hanno sempre portato a termine la Loro missione. Il Dharma è sempre stato pienamente ripristinato.

[2] Ciò che gli Avatār hanno ristabilito su salde fondamenta è la Verità (Satya) poiché, come annunciano i Veda, non c’è Dharma superiore alla Verità. Poiché la Verità viene occultata, distorta, dichiarata in crisi, l’Avatār ne conferma nuovamente la validità ed il valore. Dio indossa la Verità, l’uomo retto cerca la Verità, il malvagio è salvato dalla Verità. La Verità libera, la Verità è potere, la Verità è libertà. È la luce che illumina il cuore e dissipa il dubbio e le tenebre. Il fulgore di Dio è Verità. Accogliete Dio nel vostro cuore, insediatelo lì come risultato del vostro desiderio ardente. Che il vostro interesse sia sempre focalizzato sul Brahman! Solo così avrete il diritto di essere definiti Bramini. Se i vostri interessi sono concentrati sulla pelle e su tutto ciò che essa contiene, questo vi darà i titoli per essere qualificati come i conciatori che lavorano il cuoio e la pelle! Kanaka, nato di bassa casta, era un fervido devoto e, rapito da un insopportabile tormento, desiderava vedere Krishna. Per questa ragione si recò a Udipi dove sorge un famoso tempio di Krishna eretto da un grande saggio di nome Madvāchārya. Essendo di basso censo, Kanaka non venne ammesso al tempio per vedere l’incantevole statua di Krishna. Allora si mise in piedi davanti alla porta esterna, ma l’idolo era nascosto dal palo della bandiera di fronte all’altare. Così girò intorno al muro esterno del tempio e cercò qualche fessura fra le pietre attraverso cui poter dare un’occhiata. Trovò una pietra malferma, con le dita sgretolò la malta, aprì una fessura e, quando ansiosamente guardò attraverso quello spiraglio, vide solo la schiena della statua; nonostante ciò fu sopraffatto dalla gioia! Si mise a danzare in estasi, cantando la gloria di Krishna. A quel punto, l’idolo si voltò verso di lui e Krishna gli donò la visione completa della Sua bellezza e maestà. L’anelito fu ricompensato dalla grazia. Il forte anelito per Dio conduce alla resa, la quale conferisce la gioia più elevata. Lasciate tutto alla Sua Volontà ed accettate qualunque cosa vi accada, sia piacevole sia dolorosa.

[3] C’era una volta un ricco mercante di Bhagdad che conduceva una vita virtuosa e timorata di Dio; egli aveva una figlia che adorava immensamente perché personificava tutte le virtù. Il padre decise di darla in sposa solo ad un giovane profondamente devoto a Dio, indipendentemente da qualsiasi altro suo merito o difetto; perciò si mise a cercare uno sposo adatto nei caravanserragli, nelle moschee e nei luoghi dove erano solite riunirsi persone pie. Un venerdì nella moschea, quando ormai tutti se n’erano andati, notò un giovane di bell’aspetto, inginocchiato, che implorava Dio in modo commovente e con grande sincerità. Il mercante si avvicinò e gli chiese se volesse sposare sua figlia. “Io sono il più povero fra i poveri; sulla testa ho un tetto che gocciola e per pavimento della ghiaia su cui sedermi. Chi vorrà sposare un simile mendicante? Mi sposerò solo con chi non solleverà obiezioni sulla mia pratica spirituale e acconsentirà a condividere la mia povertà.” Il mercante pensò che quello era lo sposo giusto e in breve fu celebrato il matrimonio. La figlia andò nella casa del fachiro e cominciò a spazzare il pavimento. Era felice che suo marito avesse i suoi stessi sentimenti perché anch’essa era una pellegrina sul cammino verso Dio e praticava con devozione gli esercizi spirituali. Mentre spazzava il pavimento, trovò in un angolo un piatto con un pezzo di pane. Domandò a suo marito come mai fosse lì, ed egli le rispose: “L’ho tenuto da parte poiché domani, quando andrò in giro a mendicare, potremmo non trovare cibo a sufficienza.” A questo punto la moglie replicò: “Mi vergogno di te! Hai così poca fede in Allah? Se ci dà la fame, non ci darà anche il pane? Non vivrò con una persona di questa natura. Tu non hai fede in Dio e nella Sua compassione.” Detto ciò, lasciò il fachiro a sé stesso.

[4] La Gītā proclama che se abbandonate tutti i Dharma e prendete rifugio in Lui soltanto, Egli vi salverà dal peccato ed asciugherà le vostre lacrime. Abbandonare il Dharma non significa che potete dire addio alle virtù e alle rette azioni; significa invece che dovete eliminare l’egoismo che vi fa pensare di essere ‘colui che agisce’. Abbiate una salda fede nel fatto che Egli è l’Autore di ogni azione. Questo è il vero ‘abbandono’! Nel mondo ci sono hotel, ospedali, teatri, palestre, musei, eccetera, ma comunque siano chiamati, sono tutte case di dolore. La sola vera casa di gioia è il tempio di Dio, ossia il vostro corpo di cui il Signore è la Guida interiore ed il Protettore. In questo giorno di Guru Pūrnimā, il consiglio che vi posso dare è il seguente: non odiate nessuno, seguite le ingiunzioni della Gītā per ottenere la salute spirituale, e non siate ostili verso alcun essere. La ragione di questo comandamento è che Dio è l’Ātma interiore di tutto ciò che esiste, quindi una ferita inferta ad una qualsiasi creatura è un sacrilegio, è un danno a sé stessi. L’amore si trasforma in veleno se l’odio lo contamina. Amate alcuni, ma non odiate i rimanenti poiché quell’odio inquinerà l’amore e lo renderà letale. Per un’anima realizzata amare è automatico, ma l’aspirante spirituale deve coltivare l’amore attraverso il servizio e la riflessione sull’unità dell’Ātma. L’amore non deve fluire solo dalla lingua o dalla testa, ma soprattutto dal cuore.

[5] Agli esami, ottenete i voti che le vostre risposte meritano, nulla di più e nulla di meno. Se meritate 5 o 6 su un totale di 100 punti, è possibile che un punteggio così basso venga annullato e vi venga assegnato uno zero, poiché fra 5 o 6 e zero non c’è molta differenza. Ma se prendete un voto vicino alla votazione minima richiesta per superare l’esame, quei pochi punti che vi mancano vi verranno ‘graziati’ ed è quindi probabile che siate promossi. Questo vale anche per la disciplina spirituale; un progresso mediocre è negativo quanto un insuccesso, mentre un buon avanzamento sarà apprezzato e la grazia vi darà una mano a ‘passare’. Nel giorno di Guru Pūrnimā, le persone generalmente vengono iniziate alla vita spirituale da un maestro o ricevono istruzioni per compiere qualche voto, digiuno o veglia. Ma questi maestri non possono essere considerati come il Guru descritto nel versetto vedico

‘Guru Brahmā, Guru Vishnu, Guru Devo Maheshvarah Guru Sākshāt Parabrahma, tasmai Śrī gurave namah’
Il Guru è Brahmā, è Vishnu, è Maheshvara Il Guru è veramente il Brahman Supremo.

Il Guru che qui viene esaltato è il Saggio che ha trasceso il nome e la forma e l’influsso dei tre guna o attributi; non è buono né cattivo, passionale o inerte, non è entusiasta né disinteressato; è imperturbabile, calmo e soddisfatto. Egli è l’Ātma, il Sé, poiché ha realizzato che l’Ātma è Uno ed Unico. Questo Maestro v’induce ad abbandonare la paura della morte e della nascita e vi rende idonei alla visione della Verità eterna ed assoluta. Se non v’imbattete in un tale Maestro, non scoraggiatevi; pregate di essere guidati e, dal cuore, riceverete la Gītā adatta a voi, enunciata dall’Auriga che là risiede.

[6] Se vi mettete a cercare, troverete facilmente molti maestri poiché ormai è diventata una professione con innumerevoli praticanti in concorrenza fra loro che si sforzano di radunare il maggior numero di discepoli, di riscuotere più denaro possibile e la massima notorietà. Alcuni si sono montati la testa, mentre altri soffrono di miopia, di asprezza o di avarizia. Come possono persone che si sfidano in dispute sterili essere riverite come guru? Se, oltre all’eccitazione della conoscenza, non possiedono l’estasi dell’esperienza divina, non hanno diritto a svolgere una missione così sacra. Per quanto bella sia la carta, raffinata la busta e poetica la composizione, la lettera non giungerà per posta al destinatario se non metterete un francobollo da 20 centesimi! Anche i simboli esteriori, le vesti, gli scialli, le tuniche ed i rosari sono inutili, non potranno raggiungere il destinatario: Dio. Ciò che farà arrivare le preghiere al Destinatario è il francobollo: la devozione.

[7] Chi cerca un guru lo può trovare in ogni parola che giunge al suo orecchio, in ogni evento che gli capita intorno. Un giorno Dakshināmurti, il Maestro Divino di saggezza spirituale, passeggiava su una spiaggia, immerso in meditazione profonda. Si voltò verso le onde ed osservò il loro interminabile susseguirsi ed infrangersi. In lontananza, sulla cresta di un’onda, vide un piccolo ramoscello secco che passava da un flutto all’altro, dal fondo alla cresta e viceversa, finché non fu gettato sulla sabbia della riva proprio vicino a Lui. Dakshināmurti rimase attonito per l’egoismo mostrato dall’oceano, che si rifiutava d’offrire asilo persino ad un piccolo ramoscello. Comprendendo la Sua reazione, l’oceano disse in parole che Dakshināmurti potesse capire: “Il mio non è egoismo né rabbia, è solo il dovere di autoconservazione. Non posso permettere alla più piccola macchia d’imbrattare la mia grandezza. Se consento a questo ramoscello di deturpare il mio splendore, sarà il primo passo verso la rovina.” Allora Dakshināmurti sorrise fra sé ammirando la vigilanza del potente oceano. Riconobbe che quella era una lezione di comportamento spirituale. Se anche il più piccolo ramoscello di desiderio si cala nella mente, va immediatamente tolto dalle pure acque e gettato via. Quella era la lezione da imparare. Il Rāmāyana narra che Sītā dovette soffrire per la separazione da Rāma a causa di un piccolo, banale desiderio: possedere il cervo dal mantello dorato. Ah, se solo l’avesse scartato dalla mente, come aveva fatto l’oceano! Liberatevi dalla schiavitù del desiderio: questo è il ritornello che risuona nel Rāmāyana, nel Mahābhārata, nel Bhāgavata Purāna, nella Bibbia, nel Corano ed in tutte le Scritture dell’umanità. Ogni religione esorta i credenti a meditare su Dio con una certa Forma, conosciuta con un particolare Nome; ma chi è consapevole che Egli è tutti i Nomi e tutte le Forme adotterà un suono di significato molto profondo che sintetizza tutti i Nomi: il suono del Pranava, l’OM, l’Immutabile, Indistruttibile (Akshara). Il viaggio che bisogna intraprendere è dal mutevole al permanente, da Kshara ad Akshara. In questo viaggio ci sono tre fasi o stadi: ‘Io sono Tuo’, ‘Tu sei mio’ ed infine ‘io sono Te’! Ogni aspirante spirituale deve passare da uno stadio all’altro e giungere alla fine del viaggio. Procedete, non fermatevi! È un bene nascere in una chiesa ma è un male morirci. Crescete e liberatevi delle limitazioni e dei regolamenti, delle dottrine che limitano la vostra libertà di pensiero, delle cerimonie e dei riti che vi condizionano e vi fanno deviare. Raggiungete il punto in cui le chiese non hanno più importanza, dove tutte le strade terminano e da cui tutte partono.

[8] Duth, che proviene da Calcutta, ha detto che è un arduo compito ascoltare con attenzione, riflettere profondamente e praticare fedelmente i tre stadi prescritti dalle Scritture. Certo che lo è! Non si può arrivare alla realizzazione del Sé mediante trucchi o stratagemmi: non ci sono scorciatoie. Ascoltate cosa accadde al saggio Rāmadas di Badrāchalam, il cantore che fu imprigionato dal maragià di Golconda per essersi appropriato indebitamente di fondi pubblici per restaurare il tempio di Rāma a Bhadrāchalam, e che fu liberato da Rāma e Lakshmana stessi, i quali pagarono di tasca loro la somma sottratta! Rāmdas aveva accumulato una gran quantità di foglie di palma su ognuna delle quali aveva scritto, nel suo stile, una canzone dedicata a Rāma. Un giorno, quando i suoi occhi si posarono su quella pila, un pensiero lo colpì: “Ho composto questi canti per mio piacere personale o per compiacere Rāma?” Così volle sapere quali canti Rāma apprezzasse per poi gettare via quelli che non avesse gradito. Allora decise di buttare l’intero mucchio nel fiume Godāvarī e lasciare che Rāma salvasse quelli che aveva apprezzato. Quasi tutto il fascio affondò nella profondità delle acque; soltanto 108 canti rimasero a galla e poterono essere recuperati. Solo questi erano emersi dal cuore, mentre gli altri davano sentore d’ingegnosità, artificiosità, erudizione e pedanteria. Le preghiere devono scaturire dal cuore in cui Dio risiede e non dalla testa, dove dottrine e dubbi si scontrano. La fede che Dio dimora nel cuore, fede nella Sua costante presenza e guida conferiranno coraggio, virtù, illuminazione. Le Scritture suggeriscono di aver fiducia nel medico affinché possiate essere curati dalla malattia, di aver fede nel mantra con il quale il vostro Maestro vi ha iniziato perché solo così la vostra disciplina spirituale darà frutto, di aver fede nella sacralità del tempio poiché solo allora il vostro pellegrinaggio sarà benefico, e di aver fiducia nelle predizioni dell’astrologo, poiché senza fiducia è inutile consultarlo e preoccuparsi delle sue parole misteriose. Abbiate fede nel Guru; solo allora i vostri passi lungo il sentiero della realizzazione del Sé saranno costanti e sicuri. La fede nel Guru deve condurre alla fede nell’Ātma; se così non fosse, il Guru è solo d’ostacolo.

Prashānti Nilayam, Guru Pūrnimā, 29.07.1969