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Discorsi Divini di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

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discorsi:1969:19691016

19691016 - 16 ottobre

Discorso Divino di Bhagavân Shrî Sathya Sai Baba

Un esercizio di futilità

[1] Coltivate l’amicizia con i buoni, sviluppate la compassione per gli afflitti, nutrite sentimenti di gioia per chi è felice e prospero, e siate indifferenti nei confronti dei malvagi. Ecco la prescrizione antica e ben collaudata per condurre una vita calma e serena. Dio benedirà uomini simili e conferirà loro la Sua grazia. Il Nome di Dio pronunciato con gioia sincera esercita una grande influenza sulla mente umana. È come la luce lunare nei confronti delle onde dell’oceano interiore dell’uomo, è Dio che dall’interno fa eco alla chiamata di Dio all’esterno! Il fascino esercitato dalla scienza che si occupa del mondo oggettivo, di cose ed eventi che possono essere misurati, soppesati o calcolati per mezzo di determinate categorie di pensiero, ha indotto l’uomo a ricercare la gioia in tetre lande desolate! Chandramouli Shastry, esperto delle sacre Scritture, vi ha parlato ora dei mantra che, se sono ripetuti con fede e piena consapevolezza delle loro implicazioni, possono fornirvi delle esperienze misteriose sulla Divinità; ciò significa che i mantra vi consentono di essere vicino a Dio, il quale è attratto dalla potenza di queste sacre formule quando sono cariche della vostra energia mentale. Cos’è un mantra? ‘Man’ deriva da ‘manana’ che significa una continua riflessione sui significati occulti; ‘tra’ indica l’atto di salvare, di far superare il dolore. Qual è la condizione che permette alla mente di trasmettere al mantra la potenza necessaria? È la concentrazione univoca, fissa su un unico fine. La mente è uno strumento povero, ottuso che rincorre troppi oggetti e obiettivi. Nel momento in cui la convincete a fissare la sua attenzione su Dio, essa comincia a girovagare qua e là: in un cinema, al mercato, nella sala da gioco del vostro circolo, ecc. Raramente accetterà di concentrarsi sulla grande magnificenza della Divinità. Se la orientate verso Dio, si comporterà come se si trovasse a fronteggiare il diluvio o dovesse sostenere gli orrori dell’inferno!

[2] Oggi manca la fede in Dio che è essenziale per compiere qualsiasi esercizio di meditazione su di Lui. Quella fede arriverà solo lentamente, se vi assocerete a persone pie e devote, se leggerete la vita di santi e saggi oppure attraverso la vostra esperienza. Cantare i Nomi di Dio fa crescere la fede molto velocemente. All’inizio il Nome divino verrà inevitabilmente recitato come routine, ma in seguito la sua dolcezza v’indurrà a farne un’abitudine e la sua ripetizione vi donerà gioia permanente. Perché si parla del loto del cuore? Il loto cresce nell’acqua e fiorisce con la luce del sole. Analogamente, il cuore trae sostentamento dalla devozione e fiorisce per mezzo della saggezza. La maggior parte dei Nomi di Dio ha solo due sillabe (Rāma, Krishna, Hari, Shakti, Kālī, ecc.); il significato del numero due è che la prima sillaba rappresenta il Principio del Fuoco che brucia i peccati o i demeriti accumulati, mentre la seconda rappresenta il Principio dell’Amrita, la forza rinfrescante, ristoratrice e riformatrice, il nettare divino che dona l’immortalità. Questi due processi sono essenziali: rimuovere l’ostruzione e costruire la struttura. Il Signore Krishna fu allevato da Yashodā, la quale non sapeva neppure dove fosse nato! Yashodā lo amava e lo trattava come fosse suo figlio, ciò vale a dire che il suo amore era puro e libero da considerazioni egoistiche. La parabola deve essere compresa in questo modo: nata nella regione dell’ombelico, l’Energia Divina fu in seguito preservata e sviluppata da Nanda e Yashodā sulla lingua con la costante ripetizione del Suo Nome.

[3] Il Principio di Rāma è il Principio dell’Amore, disceso dal paradiso come dono degli Dei in seguito ad un grande rito sacrificale. Rāma significa delizia! Nulla dona maggior gioia del proprio Sé interiore e, per questa ragione, Rāma è chiamato anche Ātmarāma. Come poteva Suo fratello Bhārata accettare di usurpare il trono di cui Rāma era il legittimo erede? Quando Rāma fu esiliato e suo padre, il re Dasharatha, morì di dolore per la separazione dal figlio, Bhārata e suo fratello Shatrughna si trovavano nella capitale del regno di Kekaya. A Bhārata fu subito inviato un messaggio e quando egli fece ritorno a palazzo, pur non conoscendo ancora la doppia tragedia che aveva gettato l’intera città nel dolore più cupo, percepì che era avvenuta una calamità. Il precettore di famiglia Vashishta gli consigliò di salire al trono in quanto l’impero avrebbe sofferto di un periodo d’interregno! Bhārata gli domandò il permesso di andare dal ‘Signore delle mie preghiere, che riceve l’omaggio della mia incessante adorazione’, ma Vashishta gli disse che era un ordine di suo padre e perciò lo consigliava di succedere al trono come Regnante. Bhārata rispose che quella richiesta era la prova del grande odio che i genitori, il precettore e i sudditi di Ayodhyā nutrivano verso di lui: se lo avessero amato, non l’avrebbero spinto a commettere un simile vile peccato. Bhārata rimase in piedi con le mani giunte davanti a Vashishta e pregò: “È giusto, è corretto che tu mi voglia gravare della reggenza di un regno che ha ucciso mio padre, ha reso vedove le mie madri, ha mandato il mio caro fratello Rāma, al quale attribuisco più valore del mio stesso respiro, in esilio nella giungla con la Sua amata regina, e che alla fine ha recato un indelebile disonore a mia madre? Il mio impero è il reame in cui Rāma regna, ossia il cuore, che è comunque troppo piccolo per contenere la Sua gloria.” Il nome Bhārata significa ‘colui che è colmo di amore per Rāma’ (‘Bha’ indica Bhagavān, il Signore, e ‘ratha’ significa attaccamento, ovvero essere attaccati al Signore).

[4] Fate in modo che l’amore per Dio cresca in voi come avvenne per Bhārata. Lasciate che quel sentimento di adorazione che indusse Bhārata a disdegnare persino il trono, fiorisca in voi. Allora sarete un valido aiuto per il vostro Paese, per la società, per la religione e la comunità. Altrimenti, tutti gli sforzi da voi fatti per frequentare persone buone e pie, per ascoltare discorsi sulla spiritualità, per incontrare maestri spirituali e studiare testi sacri saranno stati un colossale esercizio di futilità. Il sistema educativo moderno che attribuisce molta importanza all’alfabetizzazione, alle capacità intellettuali ed al progresso materiale, ha indurito il cuore umano facendolo diventare un’altra arma dell’arsenale militare! L’intelletto si è ottuso per la continua ripetizione di menzogne; il rispetto e la riverenza che in passato hanno nutrito le emozioni sacre dell’uomo sono condannati perché anacronistici! I Santi, i luoghi di pellegrinaggio ed i fiumi sacri sono derisi e ridicolizzati. L’India, che per ere è stata il regno degli Dei e la fonte di Santi e Maestri dell’umanità, si è ora ridotta a mendicare alla porta di quelle stesse persone che richiedono a gran voce la luce dei Veda! Riconoscete lo splendore di quella luce e volate verso di essa – in alto quanto le vostre ali vi possano elevare – le ali della devozione e della perseveranza.

[5 ] Chandramouli Shastry ha affermato che è impossibile descrivere i miracoli di Swami. Come può una persona descriverli se prima non ne comprende il mistero? Come può un uomo dalla terraferma contare le onde del mare? Non riuscirà mai a fare il calcolo totale. Perciò, ascoltate, riflettete e seguite i consigli: questa disciplina sarà sufficiente. La Mia direttiva più importante è questa: riverite i vostri genitori, soprattutto la madre. Una volta, in una certa località, si verificò un uragano tanto violento che rase al suolo tutte le case, tanto che la gente non aveva più niente da mangiare né un tetto sotto cui ripararsi. Fra i più colpiti c’era una donna con due figli. Il figlio più grande era una gemma di virtù e si sentiva responsabile della tutela e della sicurezza della famiglia poiché amava la madre e desiderava meritare il suo amore e la sua benedizione più di ogni altra cosa. Voi parlate di Bhārata Mātā, la Madre India, ma ogni madre ha il medesimo respiro e lo stesso lignaggio. La donna andava a mendicare col bambino più piccolo per mantenersi in vita con quel poco che riusciva a racimolare in quel luogo colpito dalla carestia. Dopo qualche tempo la donna si sentì troppo debole persino per fare pochi passi e quindi il figlio più grande fu costretto ad andare da solo a mendicare per sfamare la famiglia. Inginocchiatosi ai piedi della madre le disse che sarebbe andato lui a fare la questua e che avrebbe raccolto il cibo necessario; non voleva che la mamma si stancasse ulteriormente e che la sua salute peggiorasse. Ma com’era possibile vivere solo di un pugno di riso? Così anche il figlio s’indebolì. Un giorno, stremato, s’incamminò verso la casa di un proprietario terriero e con voce flebile chiese un po’ di cibo. La padrona di casa lo chiamò dentro e gli mise davanti una larga foglia su cui servì del cibo, ma il ragazzo barcollò e poi cadde al suolo. Il padrone di casa accorse e avvicinò l’orecchio alla bocca del ragazzo morente in modo da capire le sue ultime parole. Egli disse: “No, no, bisogna dare il cibo prima a lei, dopo lo prenderò io.” Voi potrete essere in grado di ripagare qualunque debito, ma non riuscirete mai a ripagare il debito che avete verso vostra madre. Coloro che si definiscono devoti di Dio devono presentare queste credenziali: riverire la propria madre!

Prashānti Nilayam, 16.10.1969

discorsi/1969/19691016.txt · Ultima modifica: 2016/07/15 13:24 da sathyamax