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Discorsi Divini di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

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discorsi:1976:19760926

19760926 - 26 settembre

Discorso Divino di Bhagavân Shrî Sathya Sai Baba

L’attaccamento vincola, il distacco libera

Si può essere un esperto in tutte le Scritture, nelle Epiche e nel Vedānta, o un imperatore che, infatuato, si diletta in stupendi palazzi; si può essere un conquistatore del mondo che ha sconfitto i propri nemici sul campo di battaglia, o lo sfortunato servitore della Dea della povertà che a causa del suo ‘sguardo misericordioso’ è sottoposto a grandi tribolazioni; ma senza devozione non si è di alcuna utilità.
Un servo con profonda devozione è più santo di un grande imperatore che ne è privo.
Cos’altro potrei spiegarvi, oh uomini di nobili virtù?
(Versi Telugu)

[1] Incarnazioni del Sacro Sé!
Il cielo sopra la testa di tutti gli esseri umani è uno solo. La terra sotto i piedi di tutti gli uomini è solo una. L’aria che essi respirano è la medesima. Tutti gli esseri umani che popolano il mondo appartengono alla stessa casta. Analogamente, anche il Principio Divino è il medesimo in ogni individuo. Perché allora gli uomini si lasciano andare ad azioni crudeli contro gli altri esseri umani, loro fratelli? Perché tutto quest’odio e questa gelosia? Per gettare nel fango l’inestimabile natura umana? È vero che un giorno o l’altro il corpo umano perirà e sarà riconsegnato alla terra, tuttavia, finché l’uomo vive, deve essere buono, dire cose buone, agire bene, vivere una vita meritevole ed infine lasciare questo mondo.

[2] Normalmente l’uomo rimane condizionato dall’ordine mondiale; tuttavia un aspirante spirituale deve elevarsi oltre questo piano, deve attenersi alla verità e sottomettersi al Maestro spirituale. Soltanto quando l’uomo trascende le costrizioni e le pressioni secolari, elimina le incrostazioni del proprio ego e indaga nei recessi dell’Antahkarana, conseguirà la Beatitudine del Sé. La paura, l’ansia e simili distorsioni del comportamento umano sono la conseguenza delle influenze esterne; in realtà, l’uomo è essenzialmente l’Incarnazione della Verità la quale, per sua natura, è eterna. Egli è come l’oro puro sottoposto a numerosi processi purificatori quali la fusione per mezzo del fuoco, il taglio, la battitura, ecc. È come se l’oro puro, discorrendo con l’orafo, dicesse: “Mi sottoponi ad innumerevoli travagli: mi metti nel fuoco, mi fondi, mi tagli e batti; tuttavia sono contento di dover subire simili supplizi, perché quanto più sopporto tanto più puro divengo. Grazie ai tuoi impietosi trattamenti, le impurità presenti in me verranno eliminate; in tal modo diverrò lucido e brillante e alla fine sarò trasformato in oro puro. Tuttavia, come risultato del tuo lavoro, granelli di polvere e fuliggine andranno ad attaccare i tuoi occhi e tu ne soffrirai; mentre io sarò ricompensato per essermi sottoposto a tale dura prova.”

[3] In questo mondo, per poter svolgere qualsiasi attività, pur piccola che sia, bisogna essere competenti in materia. Il Signore Krishna ha messo in rilievo la stessa cosa nella Bhagavad Gītā: “Che tu possa acquisire prima di tutto il merito.”
Supponiamo che si debba costruire un ponte su un fiume. Chi è incaricato della costruzione deve essere tecnicamente qualificato ed esperto in quel genere di opere, deve essere cioè un ingegnere. Supponiamo che vogliate intraprendere un’azione legale contro qualcuno per ottenere giustizia: in questo caso dovrete rivolgervi ad un avvocato esperto in quel campo. Allo stesso modo, per curare un paziente che soffra di una grave malattia, occorre un medico qualificato e competente. Perciò, che si tratti della costruzione di un ponte, dell’intentare una causa legale o di curare un paziente, occorre possedere la qualifica adeguata. Se si richiede una tale qualificazione nelle questioni secolari, possiamo immaginare quanto più grande dovrà essere quella per eseguire i sacri riti stabiliti dai Veda (Vaidika Karmanushthāna).

[4] In nome di questi riti, molti compiono ‘azioni meritevoli’ quali il bagno rituale e offerte alla Divinità tre volte al giorno: all’alba, a mezzogiorno e al tramonto; fanno penitenze, applicano la cenere sacra sul corpo e osservano austerità come astenersi dal cibo sostenendo il corpo soltanto con la respirazione o mangiando foglie, radici e tuberi. Ma questo non è il significato corretto di Vaidika Karmanushthāna.
Rinunciando ad alcuni oggetti materiali o compiendo delle austerità sul piano fisico, si può forse sostenere di aver svolto i sacri riti stabiliti dai Veda? È possibile acquisire l’autocontrollo e la fiducia in sé stessi con tali atti? Analizziamo la questione più dettagliatamente. Fare un bagno ogni giorno è considerata una delle pratiche di Anushthāna. Eppure il pesce vive costantemente nell’acqua! Possiamo affermare che compie un bagno rituale? Il serpente respira regolarmente e sopravvive assumendo l’aria come cibo. Significa forse che compie un rito religioso? I topi vivono nelle loro tane ai piedi delle colline. Possiamo dire che stiano facendo penitenza? Le capre mangiano foglie e sopravvivono nutrendosi soltanto di queste. Possiamo dire che stiano compiendo un rito? Il cane si rotola festoso nella terra e s’imbratta il corpo di polvere. Possiamo dire, solo perché è ricoperto di polvere, che stia facendo Anushthāna? No, neanche per sogno!
Limitarsi a pronunciare le parole ‘Vaidika Karmanushthāna’ non è sufficiente! Il vero significato del termine sta nella purificazione della mente, della parola e del corpo e nel conseguire unità di pensiero, parola ed azione. Questo è il vero significato. I riti sacrificali propiziatori e le offerte si eseguono soltanto per conseguire tale purificazione.
È un’idea diffusa, ma errata, che i rituali si compiano solo per acquisire ricchezza e beni materiali, per ottenere felicità e comodità o per raggiungere il paradiso. Ciò non corrisponde al vero. Lo scopo fondamentale di questi sacri riti è pregare per il bene e la prosperità dei popoli di tutto il mondo, attenendosi così alla preghiera vedica:

Lokā Samastā Sukhino Bhavantu
Possano tutti gli esseri in tutti i mondi essere felici!

[5] C’è una parola comunemente usata nei riti e nelle offerte: ‘Bhūtabali’. Generalmente la parola ‘bali’ viene tradotta con ‘sacrificio’, inteso come immolazione di animali, ma è un significato completamente distorto. In realtà, questo termine significa una ‘tassa’ da pagare. Abitualmente paghiamo al Comune alcune tasse come quella sull’acqua, sullo smaltimento dei rifiuti, sulla proprietà della casa, ecc. Per i servizi forniti versiamo anche certi importi a vari Enti, come quello dell’Elettricità e delle Telecomunicazioni. Affinché le acque reflue prodotte nelle nostre case siano portate lontano e sottoposte ad uno specifico trattamento, affinché siano forniti determinati servizi come viabilità, elettricità, acqua potabile, assistenza sanitaria, ecc. versiamo allo Stato determinati importi sotto forma di imposte. Analogamente, per rimuovere l’insoddisfazione, l’ignoranza ed il dolore in cui siamo immersi e per procurarci la pace e la gioia che ci sfuggono, dobbiamo pagare certe ‘tasse’ ai cinque elementi. Ciò è detto ‘Bhūtabali’, cioè la ‘tassa’ sotto forma di sacrificio e offerta che viene tributata ai cinque elementi durante le cerimonie ed i riti religiosi.

[6] In quale modo possiamo coltivare lo spirito di sacrificio, la purezza della coscienza e la beatitudine del Sé? Ecco un esempio. È usuale vedere alcune guardie davanti all’entrata di grandi palazzi o di ricche residenze; solo dopo aver ottenuto il loro permesso, possiamo entrare in quei palazzi. In che modo riusciremo a convincere le guardie? Facendo amicizia con loro oppure detenendo un potere superiore al loro. In modo analogo, ci sono due guardie di nome ‘Sama’ e ‘Dama’ davanti all’ingresso del palazzo del Sé Interiore.
Solo quando sapremo conquistare queste due guardie, riusciremo ad entrare nella residenza del Sé Interiore e gioire della Beatitudine Atmica. Dobbiamo quindi sforzarci di ottenere il controllo dei sensi interni ed esterni.

[7] Il primo passo è il controllo dei sensi esterni ed a questo proposito la mente svolge un ruolo importante. La natura della mente è di rincorrere le cose proibite; essa vuole godere di tutto ciò che vede e in cui s’imbatte. Anziché permettere alla mente di rincorrere liberamente tutti gli oggetti sensoriali, dobbiamo affidarci alla supervisione dell’intelletto affinché, con la sua capacità di ragionare e discriminare, indaghi sugli aspetti buoni e cattivi, opportuni o inopportuni, eterni o effimeri. La mente è cieca e, seguendola, potremmo cadere in un baratro, perciò con l’aiuto dell’intelletto discriminante dobbiamo indagare se le sue decisioni sono buone o cattive.
La mente è come il volante di un’automobile; se siamo seduti in macchina e giriamo il volante da una parte o dall’altra, le ruote che sono all’esterno dell’abitacolo, gireranno seguendo le nostre direttive. La mente esercita una doppia funzione, svolge un doppio ruolo: buono e cattivo; è simile all’obiettivo di una macchina fotografica. Se puntate l’obiettivo su cose buone, quell’immagine rimarrà impressa nella macchina, ma lo stesso accadrà con cose o situazioni negative. Sfortunatamente, oggi le persone desiderano avere la visione di Dio, ma rivolgono l’obiettivo della mente verso gli oggetti materiali. Se poi salta fuori la foto del mondo, restano deluse per non aver ottenuto quanto desiderato.

Piantate semi velenosi ma volete raccogliere gustosi frutti;
non riuscendo a mangiare quei frutti amari, vi adirate ed attribuite la colpa a Dio (Versi Telugu)

L’aspirante spirituale si deve impegnare se vuole ottenere quello a cui anela, e a tale riguardo uno sforzo appropriato è assolutamente indispensabile.

[8] A questo punto, vi dovrete familiarizzare con due parole: Apekshā (attrattiva, attaccamento per il sensoriale e materiale) ed Upekshā (distacco dai desideri terreni). Apekshā è un requisito della mente, mentre Upekshā è una caratteristica dell’intelletto. Il primo brama gli oggetti dei sensi, mentre il secondo è assenza di desiderio e sorge dalla gioia di godere della beatitudine divina. Apekshā diviene un vincolo per l’essere umano e lo trascina verso il basso, mentre Upekshā lo libera e lo eleva ad un livello superiore di coscienza. Il primo è come una zucca piena d’acqua, e quindi molto pesante, che messa in acqua va a fondo; tuttavia la stessa zucca, dopo essersi asciugata, galleggerà sull’acqua. Analogamente i Vāsanā, le tendenze che sviluppiamo, ci trascinano nelle tumultuose acque del divenire o Samsāra. Dobbiamo pertanto sforzarci di tenere la mente libera dai desideri insaziabili e dirigerla verso la contemplazione di Dio.

[9] Un piccolo esempio. Quando l’uomo nasce ha solo due gambe. Crescendo, gradualmente svilupperà attaccamento agli oggetti sensoriali, s’invischierà nel Samsāra e, quando si sposerà, si accollerà altre due gambe divenendo così un animale a quattro gambe. Non soddisfatto, desidererà un figlio o una figlia. Con la nascita del bambino, l’uomo avrà subito sei gambe, come un granchio. Se ha solo un figlio o una figlia, vorrà averne un altro; così con la nascita del secondo figlio acquisirà otto gambe, come il ragno. Con il passare del tempo, mentre i suoi desideri si moltiplicano senza fine, egli svilupperà gambe in tutto il corpo e diverrà un millepiedi. In tal modo, un uomo che dapprima viveva su due gambe, degenererà in un animale e alla fine in un insetto. Qual è la causa di questa rovinosa caduta? I suoi stessi desideri! I responsabili delle azioni bestiali, dei contrasti, della gelosia e dell’odio sono i desideri.
L’uomo deve quindi sforzarsi di eliminare le tendenze e i desideri che ha dentro di sé e che lo trasformano in un animale o in un insetto, e deve coltivare le virtù che lo portano più vicino a Dio.

[10] Una persona che pratica questa disciplina è detta ‘Daksha’, competente. Persino nelle questioni materiali, spesso ci riferiamo a questa capacità o competenza e diciamo: ‘devo riuscire a compiere quel lavoro’, intendendo che dobbiamo acquisire la competenza per svolgere quel determinato compito. Nella mitologia indù c’è anche un personaggio di nome Daksha che svolse un rito sacrificale (Yajña) divenuto famoso come ‘Daksha Yajña’. Egli aveva una figlia di nome Sathidevi, nome che sta ad indicare Brahmajñāna, la Conoscenza dell’Assoluto, la quale sposò il Signore Shiva. Grazie a sua figlia Sathidevi, Daksha riuscì a stabilire un’intima relazione con il Signore Shiva.
Perciò se acquisiamo la Conoscenza dell’Assoluto diventiamo ‘Daksha’, ovvero capaci di stabilire una relazione intima con il Divino. Se invece di acquisire la Conoscenza del Supremo, svilupperemo ignoranza e cattive qualità, ci allontaneremo dalla Divinità. Infatti Daksha riuscì a creare un’intima relazione con il Signore Īshvara soltanto grazie a sua figlia Sathidevi, che rappresenta la Conoscenza dell’Assoluto. Se vogliamo avere una stretta relazione con Dio, dobbiamo avvicinarci a persone sagge, ascoltare i loro insegnamenti, comprendere in una certa misura l’essenza della Conoscenza Suprema, e metterla in pratica per mezzo dei riti sacri. Questa è la disciplina richiesta per controllare la mente.

[11] La mente, per sua natura, ha molte stranezze, i suoi processi sono strampalati e bizzarri ed è come una scimmia; pertanto va tenuta sotto stretto controllo e condotta sul retto sentiero. Se seguirete questa disciplina, riuscirete ad avere ripetutamente l’esperienza della Presenza Divina.

Mana Eva Manushyānām Kāranam Bandha Mokshayoh
La mente soltanto è responsabile della schiavitù o della liberazione dell’uomo

Se la mente è rivolta a Dio, aiuterà a conseguire la liberazione, se invece è rivolta a Prakriti, alla creazione, vi legherà ad essa. Tutto ciò di cui facciamo esperienza nel mondo oggettivo sono immagini riflesse della nostra mente. Se non c’è mente, il mondo non esiste affatto! Il mondo intero dipende dalla mente. Quando siamo nello stato di sonno profondo, la mente scompare e di conseguenza il mondo non esiste. Anziché perdere la mente nello stato di sonno profondo, è meglio immergerla nel Sé Supremo: in questo stato si può fare esperienza dell’Eterna Beatitudine.

[12] Incarnazioni del Divino Sé!
Indipendentemente dalla natura della mente, e pur continuando a svolgere le nostre attività abituali, se ci convinciamo che il mondo intero, anzi l’intero universo, sia una manifestazione della Persona Cosmica e che tutte le nostre occupazioni siano svolte per compiacere Dio, è possibile dissolvere la mente. Pur lasciando che la mente rincorra oggetti o persone, se sappiamo acquisire la percezione che tutti sono Incarnazioni del Sé Divino, la nostra mente diverrà pura e sacra. Quando la mente sarà colma di amore puro, in noi si svilupperà una natura divina e sacra. Se invece la mente diventa preda dell’illusione, farà dell’essere umano una bestia.
L’illusione si manifesta quando la mente viene a contatto con i desideri sensoriali. Essere identificati con i sensi e godere dei piaceri carnali non sono grandi cose. Persino gli animali, gli uccelli e le bestie lo fanno. Se gli uomini, dopo aver ottenuto la sacra ed inestimabile vita umana, si comportano come gli uccelli e le bestie, in cosa consiste la loro grandezza?
Gli animali, gli uccelli e le bestie sono totalmente dominati dalla mente, mentre l’essere umano ha la capacità di tenere la mente sotto il suo controllo. Chi non lo fa, è umano solo nella forma, ma per quanto riguarda il suo comportamento può essere equiparato ad una bestia.

[13] Dobbiamo essere i padroni di casa, non dei semplici servitori. I servi conoscono soltanto gli oggetti esterni della casa. Solo il padrone è a conoscenza dei preziosi custoditi nella cassaforte.
Oggi badiamo solo agli oggetti esterni della casa di questo corpo, ma non siamo in grado di riconoscere l’inestimabile gioiello contenuto nei recessi interiori del cuore e della coscienza, perciò siamo tutti semplici servi, non padroni. Infatti si afferma:

Pashyati iti Pashuh
Quello che osserva l’esteriore è l’animale

Ciò significa che chi ha la visione rivolta all’esterno è pashu, l’animale. La visione interiore rende invece una persona Pashupati, il ‘Guard\\iano degli armenti’, il Signore di tutti gli esseri viventi, ovvero il Signore Īshvara. Il senso profondo del rito sacrificale che stiamo compiendo oggi è di ottenere il controllo su questa visione esteriore, purificare la coscienza e conseguire la beatitudine del Sé.

[14] Incarnazioni del Divino Sé!
Un giorno o l’altro questa preziosa vita umana dovrà essere consegnata alla terra. Prima che questo accada, è dovere di ogni essere umano realizzare lo scopo della nascita umana. L’uomo deve purificare la sua natura e capire che ha ottenuto la nascita umana solamente per manifestare la sua divinità innata, e non per godere dei piaceri sensoriali.
Molti re e grandi imperatori hanno governato la terra, ma dove sono oggi? Tutti hanno lasciato questo mondo. Quello che rimane per sempre sono soltanto le azioni buone o cattive che hanno compiuto. Avendo ottenuto la condizione umana e vivendo come esseri umani, è nostro dovere portare con noi una fama duratura quando lasceremo questo mondo.
La mente va guidata a compiere attività sacre e, per evitare che si dedichi ad azioni malvagie, deve essere indotta a coltivare l’amore per Dio; se questo sarà fatto, la mente ci aiuterà concretamente nei nostri sforzi. Nella disciplina spirituale, non esiste potere più grande dell’amore altruistico; coltivando tale amore disinteressato per Dio, potremo gradualmente sviluppare Sama e Dama e muoverci liberamente nel Regno divino del Sé.

(da: La mente e i suoi misteri - Ed. Mother Sai Publications)

discorsi/1976/19760926.txt · Ultima modifica: 2016/10/25 13:49 da sathyamax